Anche quest’anno, tra gli eventi legati al Sinodo valdese, è stata organizzata la classica serata pubblica del lunedì. Il titolo scelto per questa edizione è “Oppressione, resilienza, trasformazione: Donne nello spazio pubblico” e ha visto gli interventi di Annalisa Camilli, Asmae Dachan e Daniela Di Carlo, con la conduzione di Susanna Ricci, la musica di Magali Gonnet e il discorso conclusivo a cura della moderatora Alessandra Trotta. La si può guardare per intero a questo link.
Dopo l’evento abbiamo raggiunto Annalisa Camilli, giornalista nota soprattutto per il suo lavoro con Internazionale, spesso tramite approfonditi reportage, oppure per diversi podcast e i libri (l’ultimo è La legge del mare). Le abbiamo fatto qualche domanda a partire dai vari punti toccati durante la serata.
Si parte dall’argomento che più spesso Camilli ha raccontato nel suo lavoro: i fenomeni migratori. C’è un nesso con i temi trattati nella serata pubblica? “Sì, la disuguaglianza originaria è quella tra uomini e donne; è un mondo quello in cui viviamo ancora fortemente costruito sull’idea del potere che è tutta maschile, ma non solo; porre la questione della presa di parola delle donne e della loro rappresentazione e rappresentanza, pone la questione della differenza, e quindi poi di tutte le differenze: un corpo razzializzato, un corpo disabile, ha gli stessi problemi in fondo di un corpo femminile. Spesso il sessismo, il razzismo, l’abilismo, prendono le stesse forme, usano le stesse parole. Per questo le femministe dell’ultima generazione parlano sempre più di intersezionalità. Anche le differenze di classe hanno un ruolo”.
L’intervento di Camilli durante la serata ha preso il via da una domanda. “Per me è impressionante quello che sta accadendo in questi giorni: stiamo assitendo ad una sequela di nomi, di donne che sono state uccise, dai loro compagni o ex compagni. Io ho fatto i nomi delle ultime tre, ma sono 75 nel 2023. Donne diverse ma che hanno in comune due cose: il fatto di non essere state credute, perché tutte e 3 avevano denunciato; e poi il fatto che chi le ha uccise era qualcuno di molto vicino a loro, come accade nella maggior parte dei casi. Persone con cui usiamo la parola “amore”. La mia domanda era: perché in un momento come questo, in cui percepiamo che il protagonismo delle donne è molto forte, abbiamo una Presidente del Consiglio donna…ma la violenza non cessa, anzi sembra quasi più forte”.
Qui puoi ascoltare l’intervista completa:
Mentre qui puoi guardare la versione video: