Domenica 14 maggio si tiene il primo turno (e potenzialmente l’unico) del voto per il rinnovo della Presidenza della Repubblica e della Grande Assemblea Nazionale Turca, il parlamento del paese. L’opinione più diffusa è che l’attuale presidente, Recep Tayyip Erdoğan, possa davvero essere sconfitto alle urne dopo una permanenza lunghissima ai vertici del paese.
Abbiamo raggiunto il giornalista Murat Cinar per avere un quadro del contesto in cui si svolge questo voto cruciale.
Innanzitutto, ci fa notare che Erdogan è già stato sconfitto diverse volte, sebbene l’impressione sia quella di un successo continuo per oltre due decenni. Nel voto del 2015 ad esempio il suo partito aveva già ottenuto pochi voti. Cinar cita anche le proteste al parco di Gezi nel 2013, dove “8 milioni di persone sono scese in piazza per tre mesi per contestarlo”. Non proprio il segnale di un consenso diffuso. A favorirlo, spesso, è stata la frammentazione dell’opposizione, che gli ha permesso di restare al potere nonostante raccogliesse una parte minoritaria del voto. È proprio questa la differenza cruciale di questa tornata elettorale: buona parte dei partiti sostengono questa volta Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito Popolare Repubblicano, segno di un’unità inedita e di una volontà netta a voler superare l’era di Erdogan.
Quali sono i temi al centro del dibattito elettorale? “Sono tanti” dice Cinar “ma l’economia e il terremoto del 6 febbraio hanno senz’altro hanno un peso unico. La Turchia è in crisi economica dal 2018” spiega Cinar “da quando l’amministrazione Trump ha deciso di avviare sanzioni contro il paese”. Washington ha fatto anche di più: sono stati bloccati i conti correnti di alcuni imprenditori turchi, altri sono stati arrestati negli Usa, e nel 2019 sono state decise anche sanzioni dall’Unione Europea, che ha escluso la Turchia da bandi e finanziamenti. Perciò, dice Cinar, “numerosi investitori stranieri hanno portato il proprio denaro altrove, nei paesi vicini. L’instabilità politica si è sovrapposta ad una crisi economica. E poi le riforme inesistenti, la magistratura al servizio del potere politico…ha tutto fatto sì che il profilo economico del paese subisse una decadenza”. La moneta locale si è svalutata, il potere d’acquisto è crollato, gli interessi bancari stranieri nei confronti dello stato sono saliti e quindi lo stato ha dovuto pagare di più. La risposta del governo turco è stata pessima: su richiesta di Erdogan, la Banca Centrale ha cambiato quattro volte il presidente in due anni, mentre il ministro del Tesoro è stato rinominato tre volte in tre anni, nella ricerca di persone che seguissero la linea (fallimentare) del presidente.
Le conseguenze? “Disoccupazione alle stelle, inflazione ormai a più del 100%. Nell’arco di una settimana i prezzi del supermercato cambiano anche 2 o 3 volte. Il mercato immobiliare se non esplode è solo grazie ai russi che cercano rifugio fiscale in Turchia, oppure grazie al capitale saudita. Dai confini poi entrano cittadini iracheni, iraniani, bulgari, greci, che con un potere d’acquisto maggiore fanno il pienone per il weekend e tornano a casa”.
“Il terremoto” aggiunge “ha dato un colpo enorme, milioni di persone sono rimaste senza una casa, senza un lavoro, senza un futuro. Senza negozi, aeroporti, ospedali. Milioni di persone hanno lasciato un’area molto popolosa. Tutto questo ha messo molto in discussione la fiducia dell’elettorato nei confronti di Erdogan, anche se era già abbastanza precaria”.
Perché però dovrebbero interessarci le elezioni in Turchia?
“Queste elezioni in qualche maniera riguardano tutti quanti. Innanzitutto è un paese grande, molto giovane, con una posizione geostrategica molto particolare: è un paese ponte. Membro della Nato, del Consiglio d’Europa, dell’unione doganale europea; fa parte di accordi internazionali come Astana ed è osservatore esterno del protocollo di Minsk. Il suo esercito poi è presente in diversi luoghi, assieme agli alleati (Libia, Mali, Somalia, Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, la lista è molto lunga). Ed è infine un’enorme fabbrica di produzione bellica per la Nato: le politiche di guerra della Nato dipendono quindi dal futuro della Turchia”.
C’è poi l’elemento più “pop”, come lo definisce Cinar, ovvero il famoso accordo sugli immigrati. “La Turchia è il paese che ha accolto più rifugiati al mondo, ha più di quattro milioni di rifugiati che sono intrappolati sul suo territorio ed è pagata per tenerli lì dall’Unione Europea. Il candidato delle opposizioni promette un cambio radicale della politica estera, perciò potremmo trovarci in una fase in cui dovremo ritrattare tutto con la nuova Turchia”.
Si attende quindi il voto di domenica 14. Intanto, puoi ascoltare qui l’intervista: