Sulla rivista internazionale Water è stato pubblicato uno studio sviluppato da ricercatori di ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), insieme ai colleghi dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr coordinati da Massimo Zacchini. Al centro, uno dei temi cruciali dell’antropocene: l’inquinamento da plastica.
I ricercatori hanno in particolare studiato la capacità delle microplastiche di essere assorbite nell’ambiente. Non è una novità che i minuscoli frammenti di plastica siano in grado di entrare negli organismi viventi (sono stati trovati anche nel sangue degli esseri umani) ma è importante studiare l’esatto processo e comprenderne le conseguenze.
Perciò, in questa ricerca, ci si è concentrati su un ambiente controllato, in laboratorio, dove dell’acqua contaminata da microplastiche è stata messa a contatto con la Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, che poi è stata data in pasto all’Echinogammarus veneris, un piccolo crostaceo d’acqua spesso preda delle trote nei nostri fiumi. In entrambi i casi, i ricercatori hanno notato la grande velocità con cui la microplastica è stata assunta dagli organismi coinvolti.
Non solo: dopo solo 24 ore dall’inizio della contaminazione, i ricercatori hanno rilevato nei crostacei un livello di frammentazione del DNA significativamente superiore rispetto a quelli che non erano entrati in contatto con le microplastiche. Sebbene quindi non sia ancora del tutto chiaro quale sia l’effetto delle microplastiche sulla salute, questi risultati propongono indicazioni per nulla rassicuranti.
Ne abbiamo parlato con Valentina Iannilli, referente dello studio per ENEA: