S01 E10 – La vera posta in gioco è Made in China 2025

La scorsa settimana abbiamo accennato al piano Made in China 2025 e abbiamo raccontato come le tariffe che il presidente statunitense Trump ha annunciato in funzione anti-cinese siano un attacco proprio a questo progetto, che vuole far diventare la Cina un’economia avanzata.
Il Made in China 2025 fu annunciato nel 2015, ma sui media internazionali se ne parla solo adesso proprio perché è al centro delle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti.
In pratica, identifica 10 settori industriali in cui la Cina, che è già la seconda economia del mondo in termini quantitativi, vuole diventare competitiva entro il 2025 e potenza dominante entro la fine del secolo.

Facciamo un elenco sommario: robotica, veicoli elettrici, biotecnologie, aerospaziale, trasporti e logistica d’avanguardia, elettronica, i cosiddetti nuovi materiali (come quelli utilizzati negli schermi e nelle celle solari), information technology di nuova generazione, macchine agricole. Poi nel 2017 a questi settori è stata aggiunta anche l’Intelligenza Artificiale: la Cina vuole diventare il principale centro di innovazione al mondo in questo campo entro il 2030.

Ecco, i dazi sono un attacco a tutto questo mondo in trasformazione, non soltanto allo squilibrio della bilancia commerciale qui e ora che invece viene usato come argomento centrale da Trump. Il problema è che difficilmente si può pensare di tornare indietro: come sostenuto dall’ex specialista di Cina presso il Tesoro statunitense David Loevinger, «la Cina sarà sempre meno complementare e sempre più competitiva rispetto all’economia statunitense. Made in China 2025 serve a completare lo sforzo per scavalcare gli Stati Uniti in alcuni settori».

Oggi parliamo anche del rapporto 2017 di Amnesty International, che colloca la Cina al primo posto per numero di esecuzione, anche se mancano completamente dati certi.

Playlist

Carsick Cars – 15 Minutes Older (15分钟年华老去)
Xie Tian Xiao – Dancing With My Voice (谢天笑 – 与声音跳舞)

Di cosa parliamo oggi

Mercoledì 11 aprile il presidente cinese Xi Jinping ha parlato agli imprenditori cinesi e stranieri dicendo che «Le riforme cinesi vanno solo avanti, non possono mai finire». Significa che c’è uno sforzo costante a migliorare il proprio sistema economico: niente grandi riforme che lo ribaltino, ma modifiche incrementali per migliorarlo. La stabilità va di pari passo con l’innovazione.
Ha detto un’altra frase, Xi Jinping: «cari imprenditori, spina dorsale della Cina, dovete passare dal chiedervi “ce ne è abbastanza?” al chiedervi “è di buona qualità?”». Dalla quantità alla qualità, dall’accumulo di ricchezza alla qualità di questa ricchezza.
Come reso esplicito dalle parole di Xi Jinping, l’obiettivo della politica economica cinese è quindi quello di scalare la catena del valore, creare prodotti innovativi.

Niente colpi di genio nei garage, siamo cinesi: il vero vantaggio della Cina è da un lato l’indirizzo, il coordinamento e gli investimenti diretti o indiretti offerti dallo stato; dall’altro le sue dimensioni e in mezzo la politica, che tiene insieme il business e il mercato.
Quindi: aiuti dallo Stato, un grande laboratorio dove sperimentare i prodotti e poi il più gigantesco mercato del mondo dove venderli. La Cina cerca così di creare un “ecosistema dell’innovazione” dove le idee e i prodotti crescono pian piano, ma poi sono anche immediatamente commercializzabili.

Nella guerra commerciale che si paventa, la Cina è disposta a fare concessioni di ogni tipo alle richieste di Trump e compagnia, ma non farà nessuno sconto se la strategia statunitense è più o meno esplicitamente quella di strangolare il neonato nella culla, cioè di tarpare le ali al progetto Made in China 2025. Oggi ci troviamo proprio a questo punto.

Gli americani hanno qualche ragione nel dire: nel nostro rapporto non c’è reciprocità, voi proteggete le vostre imprese, ci impedite di entrare nel vostro mercato e quando lo consentite è solo per rubarci la proprietà intellettuale. I cinesi, proprio per bocca di Xi Jinping, hanno già detto: d’accordo, apriamo di più il mercato delle auto e dei prodotti finanziari, ci impegniamo a proteggere la proprietà intellettuale. Ma pare che le trattative sommerse si siano incagliate su un punto: gli Stati Uniti, nel nome dell’ideologia neoliberista, chiedono che la Cina la smetta di sussidiare le proprie aziende high-tech. La Cina a quel punto la smette di fare concessioni e attacca gli Stati Uniti alla World Trade Organization, anche perché anche l’innovazione statunitense è sussidiata dallo Stato, non esplicitamente ma attraverso le commesse al settore militare.

Ecco, i dazi sono un attacco a tutto questo mondo in trasformazione, non soltanto allo squilibrio della bilancia commerciale qui e ora che invece viene usato come argomento centrale da Trump. Il problema è che difficilmente si può pensare di tornare indietro: come sostenuto dall’ex specialista di Cina presso il Tesoro statunitense David Loevinger, «la Cina sarà sempre meno complementare e sempre più competitiva rispetto all’economia statunitense. Made in China 2025 serve a completare lo sforzo per scavalcare gli Stati Uniti in alcuni settori».

Nel frattempo, non sono soltanto gli attori economici a guardare con preoccupazione alla Cina. Giovedì 12 infatti Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle condanne a morte e le esecuzioni nel mondo.

Il fatto è che quando si parla di Cina in questo rapporto si fanno soltanto delle ipotesi, delle stime, perché la Cina è uno dei tre Paesi, insieme alla Bielorussia e al Vietnam, che mettono il segreto di Stato sulle pene capitali. Amnesty fa delle ipotesi e quantifica in migliaia le esecuzioni compiute ogni anno nel sistema giudiziario cinese. Anche da altri Paesi asiatici, come Corea del Nord, Laos, Malesia, Siria e Vietnam e Yemen, le notizie sono davvero scarse. Diciamo che ogni anno in questi rapporti l’Asia fa una figura non brillantissima.

Comunque Pechino rivendica da anni che i reati per cui è prevista la pena capitale sono stati ridotti, e anche Amnesty lo riconosce, ma ritiene che la Cina resti il Paese dove si giustizia di più basandosi sulle serie storiche, sulle dimensioni del Paese e sull’estensività dei crimini per cui è prevista la pena capitale: basti pensare che sono compresi per esempio i crimini economici.

C’è poi una sezione del rapporto nella quale si parla dei Paesi in cui esiste la pena di morte per crimini legati alla droga. Sono sette, e tra questi troviamo proprio la Cina, pure senza dati. Si dice però che è stata «diffusa notizie di esecuzioni pubbliche» per questo tipo di reati.
Amnesty analizza anche le sentenze comminate dalla Corte Suprema del Popolo, ma va considerato che in Cina esiste un’istituzione del tutto particolare che è la “pena di morte sospesa”. In pratica, il condannato viene messo alla prova per due anni e se fa il bravo la pena capitale si trasforma in ergastolo.

Un altro indicatore su cui si basa Amnesty è la creazione di un vero e proprio stato di polizia in Xinjiang, con l’aumento a livello locale di quelle campagne che hanno nomi come “colpire duro”, “guerra di popolo”. In concomitanza con queste campagne di solito aumentano le esecuzioni.

A luglio e dicembre del 2017 le autorità di Lufeng, nella provincia del Guangdong, hanno condotto “condanne pubbliche di massa” di fronte a migliaia di persone e in violazione di diversi regolamenti della Cina, nel corso delle quali 23 persone sono state fatte sfilare su furgoni e hanno ricevuto lettura delle loro sentenze capitali per reati connessi alla droga. Subito dopo, 18 persone le cui sentenze erano state confermate dalla Corte suprema del popolo, sono state messe a morte.

Proprio per via del segreto di Stato e in generale dell’impenetrabilità del potere cinese, è difficile capire se qualcosa stia cambiando nel campo della pena di morte: in seguito all’assoluzione postuma nel 2016 di Nie Shubin, messo a morte nel 1995, e ad altri casi di condannati a morte innocenti, va però detto che diversi organi giudiziari ed esecutivi della Cina hanno emesso delle circolari con lo scopo di rafforzare delle salvaguardie sul giusto processo. Tra i regolamenti, il 27 giugno 2017 la Corte suprema del popolo, il procuratorato della Corte suprema e il ministro della Pubblica Sicurezza hanno emesso un documento che ha lo scopo di chiarire i criteri di esclusione delle prove ottenute illegalmente in ogni fase dei procedimenti penali, come le confessioni estorte sotto maltrattamento o tortura, e di garantire agli avvocati difensori più spazio per contestare la legalità delle prove. Altre linee guida hanno riguardato il rafforzamento del controllo e delle responsabilità delle forze dell’ordine, dei giudici e dei procuratori, così come il miglioramento delle perizie forensi e della capacità degli avvocati difensori di operare senza interferenze indebite.

Tra l’altro esiste un’organizzazione chiamata Cadp, China Against the Death Penalty, che ha l’obiettivo di arrivare all’abolizione della pena di morte in Cina. Fondata dall’avvocato per i diritti umani Teng Biao, cerca di fornire aiuto legale, occasioni di incontro pubblico e momenti di educazione sul tema, oltre a occuparsi in modo indipendente di casi di condanne a morte.

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