L’Unione Europea si pone degli obiettivi importanti, in termini di transizione energetica, con parametri che spesso cerca di esportare anche al resto del mondo, ponendosi come esempio per la lotta alla crisi climatica e il passaggio ad una società sostenibile.
Nei fatti, però, le cose vanno diversamente. Un nuovo rapporto di ActionAid mostra che dalla firma dell’Accordo di Parigi, nel quale i paesi delle Nazioni Unite decisero di prendere provvedimenti per limitare la crescita delle temperature medie globali. A far crescere le temperature (e quindi a spingere il clima a cambiare) è soprattutto l’uso dei combustibili fossili, e le banche europee hanno investito in questi sette anni 281 miliardi di euro per finanziare l’estrazione e l’uso di queste fonti di energie, oppure all’agricoltura industriale, causa a sua volta dell’effetto serra (ma anche di degrado ambientale e sociale).
“L’Italia, da quella data ad oggi, attraverso la Sace, ha investito 15,1 miliardi nell’espansione dei progetti fossili in Mozambico, Egitto e Nigeria; la Cassa Depositi e Prestiti ha investito 1,66 miliardi: si tratta di soldi pubblici” ci dice Marco De Ponte, Segretario Generale ActionAid Italia, facendo anche notare la distanza tra queste cifre e i 100 milioni stanziati dall’Italia per il fondo Loss & Damage: briciole.
“Gli stati falliscono anche come regolatori degli investimenti privati” aggiunge De Ponte “Sempre da Parigi ad oggi 40 miliardi di euro [all’anno] sono stati investiti da banche europee nell’espansione della progettualità fossile. Rimanendo sull’Italia, le due più grandi, Intesa San Paolo e Unicredit, [hanno investito] 9,2 miliardi e 11,9 miliardi”.
Puoi ascoltare l’intervista qui:
Qui invece puoi vedere un video con cui ActionAid è andata ad esplorare l’effetto dell’estrazione di petrolio (e quindi del suo finanziamento) nel Delta del Niger: