In un paese dove il cibo ha una rilevanza che va oltre alla sola nutrizione, ActionAid Italia continua la sua analisi su chi fa fatica a permetterselo. Il rapporto di quest’anno si intitola Frammenti da ricomporre, perché, come ci spiega Roberto Sensi, responsabile del programma povertà alimentare per l’organizzazione, il tema è più complesso di quanto possa apparire.
Il quadro che emerge mostra che la linea tra chi può permettersi pasti adeguati e chi invece è in difficoltà è moltiplicata su vari fronti: ci sono divisioni economiche, geografiche, di genere e di cittadinanza, tutte innestate su contesti sociali che occorre analizzare singolarmente.
Sensi ci fa notare che anche lo stesso concetto di povertà alimentare è più ambiguo di quello che sembri. Intanto non è esattamente sincronizzato alle soglie di povertà stabilite istituzionalmente, e sulla base delle quali si portano avanti le politiche di assistenza; c’è chi è fuori dalla povertà, ufficialmente, ma deve risparmiare molto sul cibo: forse ci sarebbe allora bisogno di alzare queste soglie. Ma anche sulla semplice definizione c’è bisogno di riflettere: nella povertà alimentare ci rientra solo chi non riesce a procurarsi tutti i pasti completi di cui avrebbe bisogno, o anche chi, per far quadrare i conti, rinuncia alla socialità di una cena al ristorante o di un caffè al bar? La socialità è importante, ricorda Sensi, e il cibo ne è un motore.
Infine, il cibo è anche la nota di spesa più flessibile, perché non possiamo scegliere di pagare un affitto inferiore, ma possiamo scegliere di spendere meno per l’alimentazione. Una scelta che nessuno dovrebbe trovarsi davanti. Il problema è complesso, e richiede una risposta altrettanto profonda.
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