In questi giorni si è tornato a parlare molto di Balcani e in particolare di Kosovo, viste le recenti tensioni nuovamente riemerse nel paese. L’ultima scintilla è stata la decisione del governo di procedere con il giuramento delle giunte comunali elette ad aprile, sebbene nel nord del paese la maggioranza serba abbia boicottato il voto, portando a sindaci eletti con un’affluenza molto bassa (in media al 3,47%). Ci sono state manifestazioni di protesta e anche scontri tra cittadini serbi e le forze della Nato dispiegate in Kosovo, portando ad alcuni feriti.
Per raccontare in modo più ampio il contesto ci facciamo aiutare da Giorgio Fruscione, ricercatore di ISPI.
Le fratture nella regione sono ovviamente di lunga data, ma Fruscione fa risalire questo specifico fronte alle vicende dello scorso anno, quando nuove leggi sulle immatricolazioni delle auto avevano portato a manifestazioni e blocchi stradali.
La mediazione pare in questo momento piuttosto difficile. I governi serbo e kosovaro non sembrano intenzionati a facilitare il dialogo, anzi infiammano gli animi con discorsi e decisioni drastiche. In mezzo, c’è anche lo scenario internazionale. Fruscione dubita che ad alimentare questi divari possa essere la Russia, che nonostante gli storici rapporti con Belgrado non ha sul posto il personale e le risorse per azioni di questo tipo. Di certo però disordini di questo tipo in Europa fanno comodo a Mosca.
Dall’altro lato, la mossa del governo kosovaro è stata criticata da Stati Uniti e Unione Europea, ma Fruscione fa notare che la posizione di quest’ultima è in parte indebolita dalla divisione interna rispetto al Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna non riconoscono l’indipendenza della nazione), perciò la sua pressione rischia di essere poco incisiva, sebbene il dialogo in corso tra Belgrado e Pristina avvenga sotto l’egida di Bruxelles.