Il consumo di suolo peggiora le alluvioni – Intervista a Michele Munafò di Ispra

Nel momento in cui si scrive si contano nove vittime per le alluvioni in Emilia-Romagna, con molti dispersi e circa diecimila sfollati.

Sono tante le responsabilità umane in un disastro come questo. C’è senz’altro la crisi climatica, che rende eventi meteorologici estremi più frequenti ed intensi. Come hanno scritto gli attivisti di Fridays For Future: “Questa pioggia è crisi climatica”.

Ma c’è anche un altra questione: quella di quanto si costruisce e dove.

Per parlarne abbiamo raggiunto Michele Munafò, responsabile del Rapporto sul consumo di suolo di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

Il consumo di suolo (e quindi la conversione di terreno naturale o agricolo in terreno artificiale, coprendolo con edifici o strade) rende particolarmente grave una caduta intensa di piogge, per un motivo piuttosto semplice: il suolo è reso impermeabilizzato, perciò l’acqua non viene assorbita ma resta invece in superficie, accumulandosi. Munafò aggiunge anche un importante dettaglio: in questo modo la massa d’acqua viene anche accelerata, e così arriva a valle in quantità maggiore in minor tempo, aumentando di molto il rischio di esondazioni.

In Italia il consumo di suolo procede a ritmi terrificanti. “Nell’ultimo anno abbiamo costruito per quasi 70 chilometri quadrati di nuovo cemento, nuovo asfalto, nuove coperture artificiali, nuovi cantieri. È il valore più alto dell’ultimo decennio, perciò nell’ultimo anno abbiamo addirittura accelerato. Sono più di due metri quadrati al secondo”. Con tutte le conseguenze del caso. Oltre all’impatto sul ciclo dell’acqua, c’è anche la sottrazione di terreni all’agricoltura: “si parla molto di sovranità alimentare, ma se noi perdiamo le aree agricole, è difficile coltivare sul cemento”. C’è poi l’effetto di queste costruzioni sulle temperature, che rende le città tendenzialmente più calde delle campagne durante l’estate (e proprio oggi scopriamo che le prossime estati saranno le più calde di sempre). “Dobbiamo smettere di costruire su aree naturali, di perdere suiolo fertile, produttivo, naturale, e aumentare la quantità di aree permeabili del nostro territorio e delle nostre città”.

L’Emilia-Romagna è un caso molto emblematico. La sua percentuale di artificializzazione è superiore a quella italiana (che è a sua volta superiore a quella europea). E si continua a costruire, tanto che nel 2022 è stata la terza regione per consumo di suolo, dopo Lombardia e Veneto. “Si è costruito moltissimo nelle aree a pericolosità idraulica. La metà del consumo di suiolo italiano a pericolosità idraulico è in Emilia-Romagna, qualcosa come 500 ettari”. Un’area a pericolosità idraulica può andare incontro ad eventi eccezionali ogni 100 anni. Ma il clima che cambia sta accorciando molto questi orizzonti temporali, e gli eventi estremi, come detto sopra, si fanno sempre più frequenti e disastrosi.

Eppure abbiamo la memoria corta, cortissima. “Sappiamo benissimo che tra una settimana ci saremo scordati di questo problema” commenta amaramente Munafò. Parleremo, ad esempio, di crisi della natalità e di calo demografico. Ma se siamo sempre meno, per chi stiamo costruendo tutto questo?

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