Un anno fa la Russia avviava l’invasione su larga scala dell’Ucraina e moltissime persone (soprattutto donne e bambini) scappavano dal paese per essere accolte altrove, mentre l’Europa spalancava loro le porte come non aveva mai fatto prima (e come continua a non fare per le persone che chiedono asilo da altri paesi).
Un numero significativo è stato accolto anche in Italia e per fare il punto della situazione abbiamo raggiunto Marta Peperna, che si occupa del progetto Sweet di ActionAid a Napoli, una delle aree dov’è attiva l’iniziativa, assieme all’Arco Ionico e a Corsico (MI).
Il progetto era già ben avviato prima della guerra in Ucraina, ma è andato incontro alle persone coinvolte, sia coloro che arrivavano, sia colo che già si trovavano in Italia, la cui situazione è però cambiata, ad esempio perché hanno ospitato i parenti in fuga dalle zone di guerra. L’obiettivo è quello di andare incontro ai loro bisogni, sia quelli più immediati che quelli più a lungo termine, offrendo anche supporto psicologico.
Secondo ActionAid la gestione dell’accoglienza da parte delle istituzioni resta, a 12 mesi dall’inizio della guerra, piuttosto incerta, con il rischio che le donne lasciate da sole possano cadere nella rete dello sfruttamento. Peperna ci racconta anche di decisioni prese senza particolare attenzioni alle necessità delle persone coinvolte, magari con continui spostamenti che possono mettere in ulteriore difficoltà emotiva persone già sottoposte ad un grande stress. Molti rifugiati hanno optato per trovare una sistemazione abitativa autonoma, ma per questo motivo hanno ricevuto meno supporto economico. Inoltre questa ricerca è avvenuta spesso in modo informale, così le persone sono finite in abitazioni non dignitose e senza contratti regolari. Così manca il dato sulla loro residenza, che le esclude da numerosi servizi. Molto complesso anche il nodo dell’inserimento lavorativo.