Per la prima volta un film non in inglese ha vinto l’Oscar per il miglior film: si tratta di Parasite, di Bong Joon-ho, che oltre all’Oscar più prestigioso si è portato a casa anche quello per il Miglior film internazionale, quello per il miglior regista e per la migliore sceneggiatura originale. Ecco, è un successo che non salta fuori dal nulla, perché negli ultimi vent’anni il cinema sudcoreano è diventato sempre più interessante.
Fino alla fine del secolo, il cinema sudcoreano era in effetti molto meno conosciuto e apprezzato, e quando si pensava a registi e titoli asiatici si pensava normalmente a quelli del cinema di Hong Kong, oppure a quello giapponese.
Il cinema sudcoreano del nuovo millennio è invece riuscito a farsi apprezzare, in gran parte grazie alla sua capacità di presentare una critica sociale, spesso ottenuta incastrando, mischiando, sovrapponendo e rielaborando tra loro generi diversi. Parlando spesso dei tanti problemi della Corea del Sud, ma in termini e con approcci che risultano comprensibili e accessibili anche a chi di quel paese sa poco o niente.
Parasite è un film che sta ottenendo un successo internazionale, ma che viene ritenuto molto coreano, un po’ come altri film, come Burning. E allora cerchiamo di scavare un po’ all’interno di questo film, e lo facciamo insieme al professor Antonio Fiori, politologo che insegna a Bologna e anche a Seoul.