Il 15 dicembre si è conclusa la Conferenza delle Parti sul Clima a Madrid, la Cop25. La maggior parte della stampa ha definito i risultati emersi come un fallimento, guardando, tra le altre cose, al mancato accordo sulle regole per il mercato delle emissioni e sui meccanismi di cooperazione su perdite e danni dovuti alla crisi climatica. Temi centrali e sicuramente importanti nel quadro dei processi di negoziazione a livello internazionale.
Tuttavia, siamo sicuri che – semplificazione giornalistica a parte – fallimento o successo siano le categorie più adatte per descrivere l’esito di conferenze come quella che si è conclusa da pochi giorni nella capitale spagnola? Non si tratta di una semplice questione semantica, ma ha a che fare con le aspettative e la situazione geopolitica nel quale si inseriscono questi vertici.
Certo, in molti hanno espresso – a ragion veduta – la propria delusione per ciò che poteva essere fatto e non è stato. In generale è chiaro che, nel quadro geopolitico attuale (la campagna elettorale negli Stati Uniti, la Cina attendista, la Commissione Europea appena insediata) gli spazi di azione si sono dimostrati essere molto ridotti, proprio in un momento in cui doveva essere la politica a fare la sua parte. Ma, dal Piano per l’Azione di Genere al supporto al partenariato di Marrakech quali sono stati i passi compiuti quest’anno?
Insieme a Jacopo Bencini, policy advisor dell’Italian Climate Network, abbiamo provato a raccontare le premesse e il clima dei lavori della Cop25 a Madrid, i nodi problematici emersi, le questioni rinviate, quelle approvate e il percorso verso la prossima Cop26 a Glasgow.