La prima ipnotica immagine di un buco nero. Intervista a Kazi Rygl

È un’immagine potente, quasi ipnotica: un anello arancione e giallo leggermente sfocato che spicca su di un fondo nero. Al centro un ovale, anch’esso nero.

“We have seen the gates of hell at the end of space and time. (…) What you’re looking at is a ring of fire created by the deformation of space-time. Light goes around, and looks like a circle.”

Heino Falcke del Radboud University in Nijmegen in Olanda nel corso della conferenza stampa a Bruxelles. Via Nature


Potente in primo luogo per quel che mostra per la prima volta: l’orizzonte degli eventi di un buco nero al centro della galassia Messier 87 (M87), nella costellazione della Vergine.


Di IAU and Sky & Telescope magazine (Roger Sinnott & Rick Fienberg) – [1], CC BY 3.0, Collegamento


Un’immagine potente – però – anche per quel che non è o non mostra: assomiglia ad una foto ma non è una foto (o almeno non come la intendiamo solitamente); vi è raffigurato un buco nero ma in realtà ciò che si vede di scuro al centro può essere considerata la sua ombra.

Questo status di Luca Perri è diventato virale e racconta tra le altre cose della foto-non-foto e del buco-nero-che-non-si-vede


Ma è un’immagine potente anche se si guarda al processo attraverso cui si è giunti ad ottenerla, attraverso una collaborazione internazionale tra istituti e centri di ricerca e una rete di centinaia di ricercatori di tutto il mondo. Si è arrivati ad un risultato così importante attraverso uno sforzo comune che ha visto la sincronizzazione di radiotelescopi a diverse latitudini per creare un unico grande telescopio virtuale dal diametro grande come quello della Terra: l’Event Horizon Telescope. Un messaggio dirompente in un mondo che costruisce le sue identità attraverso la costruzione di muri.


E poi è un’immagine potente perché è in grado – nella sua semplicità – di suscitare emozioni. Ha fatto il giro del mondo la foto di Katie Bouman al suo primo incontro con un’immagine del buco nero: le mani sulle guance a dissimulare un volto che in ogni suo muscolo sta sorridendo di gioia.

Katie Bouman è una giovane ricercatrice che ha sviluppato un algoritmo utilizzato insieme ad altri strumenti dal team di ricerca per trasformare i dati dell’Event Horizon Telescope nell’immagine che conosciamo.


Al progetto partecipano anche alcuni ricercatori italiani dell’INAF e dell’INFN. Insieme a Kazi Rygl dell’istituto di radioastronomia dell’INAF di Bologna abbiamo ripercorso le emozioni e l’importanza di questa “foto del secolo”.

Ascolta l’intervista

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