Da più di due settimane 49 persone, tra cui uomini, donne e tre bambini molto piccoli, sono bloccate a bordo delle navi delle ong Sea Watch e Sea Eye senza ricevere l’autorizzazione allo sbarco da parte di un Paese europeo. L’Italia non fa eccezione, ed è stato anzi più volte ribadito dal Ministro degli Interni Matteo Salvini che “I porti italiani sono chiusi”.
Non esiste però, al momento, un atto formale di chiusura (atto che dovrebbe essere disposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), come hanno anche ribadito i dirigenti dei porti italiani. Le navi in questione non hanno fatto richiesta di attracco, ma si sono rivolte all’autorità di ricerca e soccorso italiana che ha declinato la responsabilità indicando la Libia come ente competente, dal momento che il salvataggio si è svolto nelle sue acque territoriali.
La posizione del Governo italiano, come quella di molti Governi europei, pare però essere legata ad un’operazione di propaganda, in particolare per delegittimare le ong, in un braccio di ferro a livello internazionale per modificare un quadro di regole che non sta funzionando. Questa partita si sta però giocando attraverso la strumentalizzazione della vita e della dignità di persone.
Ne parla Cesare Pitea, Docente di diritto internazionale presso l’università di Parma e collaboratore di ASGI, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.