S02E09 – Niente lotta di classe, siamo socialisti con caratteristiche cinesi!

Nella quindicesima puntata della scorsa stagione, andata in onda il 19 maggio, si era parlato delle celebrazioni in Cina per il bicentenario della nascita del padre più nobile del comunismo, Karl Marx. Il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping aveva tenuto un discorso dedicato proprio a Marx, e ci eravamo chiesti come fosse possibile trasformare il marxismo in una teoria scientifica dello sviluppo.

In realtà la soluzione trovata dal potere cinese è potentissima nella sua semplicità: bastava eliminare la lotta di classe. Una sorta di socialdemocrazia potenziata con il Partito unico al comando.

Infatti, quando la lotta di classe, espulsa dal discorso politico ufficiale del più grande Stato comunista della storia, rientra in gioco, la risposta non è affatto accomodante, e i fatti di questo 2018 sono qui a dircelo.

Ad agosto di quest’anno, 50 studenti appartenenti a gruppi universitari di ispirazione marxista e provenienti da tutta la Cina, si sono recati ad Huizhou, nel sud della Cina, per partecipare alla protesta di alcuni operai delle fabbriche locali. Alcuni di questi studenti sono stati arrestati e sottoposti a detenzione extragiudiziale.

A settembre, il Financial Times ha riportato che la Beida, cioè l’Università di Pechino minacciava di chiudere la sua società marxista studentesca perché gli studenti praticavano il marxismo connettendosi con i lavoratori e organizzandoli. Il che suona non si sa se ridicolo o paradossale.

Il 2 novembre, Reuters ha riportato che due studenti dell’Università di Nanchino sono stati aggrediti e portati via per avere guidato una protesta della loro università che si era rifiutata di riconoscere una società studentesca marxista all’interno del campus.

Pochi giorni fa, le agenzie hanno riportato che sono almeno 12 i militanti studenteschi “scomparsi”, nelle città di Pechino, Shanghai, Guangzhou Shenzhen e Wuhan. Questi militanti avevano solidarizzato e preso parte alle proteste di lavoratori in varie zone della Cina, soprattutto nel sud manifatturiero.

Almeno cinque tra studenti e dottorandi sarebbero quelli letteralmente sequestrati all’università di Pechino, che forse è la più famosa università cinese, quella da cui sono più o meno cominciate tutte le rivolte del Novecento.

Si pensa quindi che ci sia in corso una repressione coordinata, un giro di vite contro di loro da parte delle autorità di uno Stato che si richiama formalmente agli insegnamenti di Marx (e qui sta il paradosso). Va aggiunto che i corsi di marxismo-leninismo sono obbligatori nelle università cinesi, ma sempre più di frequente gruppi di studenti si trovano per sedute di studio collettivo extracurricolare, cioè fuori dall’insegnamento ufficiale. In pratica prendono in mano i testi sacri del marxismo senza mediazione dei sacerdoti dell’ortodossia di Stato e così esercitano una critica nei confronti della crescente diseguaglianza in Cina. Il potere vorrebbe dirti che il marxismo è una teoria dello sviluppo economico; gli studenti ci scoprono invece la critica della diseguaglianza e la lotta di classe. A che prezzo?

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