Lunedì 26 marzo sono iniziate le elezioni presidenziali in Egitto, che si sono poi chiuse mercoledì 28. I primi dati danno un’affluenza al 40%, ma circa il 90% dei votanti sarebbe a favore di una rielezione di ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī, mentre al suo unico sfidante (in realtà legato al presidente) spetterebbe il 3% dei voti.
Un esito che pare scontato, ma che testimonia una crisi dello Stato egiziano: il governo non risponde alle necessità primarie del paese (economia, crisi sociale, sicurezza) e porta avanti politiche di repressione. Queste sono le ragioni della scarsa affluenza, malgrado fossero previste sanzioni di 500 Sterline egiziane per chi non si fosse presentato alle urne.
La chiesa copta è fortemente schierata a favore di al-Sīsī, perché dal governo riceve protezione dalle violenze e dagli attacchi quasi quotidiani in tutto il paese.
La prospettiva è quella di un governo in continuità con le politiche portate avanti negli anni passate, anche se il risultato definitivo sarà ufficializzato solo nella giornata di lunedì 2 aprile.
Ne parla Giuseppe Dentice, ricercatore dell’ISPI, Istituto di Studi Politici Internazionali)