L’essere umano è l’unico animale che si veste, che può cambiare pelle e scegliere come presentarsi. Siamo coscienti del nostro corpo, lo riconosciamo allo specchio e lo possiamo manipolare, dipingerlo e renderlo espressivo. Il corpo e il modo in cui lo interpretiamo è un mezzo di autoaffermazione oppure il modo per nascondersi a se stessi fino al punto, a volte, di smarrirsi.
La corporeità è sempre il mezzo attraverso il quale ci relazioniamo agli altri e anche quando non c’è la necessità di coprirsi per motivi climatici, l’abbigliamento è sostituito con ornamenti o tatuaggi, non si tratta quindi di un fatto naturale ma prettamente culturale. È attraverso l’abbigliamento che si evidenziano le differente antropologiche fondamentali: il sesso, l’età, il ruolo, il rango sociale, l’appartenenza religiosa o ideologica; soprattutto, attraverso la manipolazione del corpo, si costruisce la soggettività. Da questa prospettiva l’abbigliamento è sempre un linguaggio perché la natura dell’uomo si manifesta attraverso e non al di fuori della cultura.
Nel processo di antropizzazione dell’uomo la nudità non è mai percepita come naturale, ma come qualcosa da decifrare: il messaggio potrebbe essere erotico, di trasmissione di valori atletici, il malato comunica il proprio disagio, il povero il proprio stato di indigenza, la nudità di una modella è il medium della sensibilità dell’artista.